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‘a forza delle donne è la forza di tutti’.
Titola così Fiorella Mannoia la sua presentazione del libro ‘Quello che le donne dicono’.
E sceglie, insieme all’autrice Roberta Marasco, 30 figure di donne da inserire in questo volume indirizzato in primis alle giovani generazioni, ma anche a tutti noi. Libro corredato di splendide illustrazioni della fumettista Eleonora Antonioni.
La selezione ricade su musiciste che grazie al loro percorso musicale e impegno sociale, hanno lottato contro pregiudizi e maschilismo.
Donne come Miriam Makeba, che ha combattuto l’apparthaid che la segregava in Sudafrica, Nina Simone, che con le sue canzoni è stata un’attivista dei diritti civili come poche, Aretha Franklin e Patti Smith, che hanno gridato al mondo la necessità di rispetto per le donne.
Anche noi italiani abbiamo avuto nella musica, in particolare negli anni settanta, donne simbolo nello scardinare i pregiudizi della società: Patty Pravo, Loredana Bertè, Nada Malanima, Gianna Nannini, Anna Oxa ed altre, compresa Raffaella Carrà, che nel 1971 si esibì nel famoso tuca-tuca, ballo sensuale rivoluzionario per quei tempi.
E lei? Dove si colloca Fiorella Mannoia? Si colloca tra le donne che hanno avuto sin da piccole attenzione per i più deboli, per un semplice fatto di attitudine, quindi non si riconosce meriti.
Un’attitudine grazie alla quale non si fa alcuno sforzo nel pensare agli altri e diventa una compagna di vita, la porti con te sempre.
Per questo le sue canzoni parlano prevalentemente di sentimenti, sofferenze e fragilità femminili, e partecipa a molte iniziative sociali in favore delle donne.
In particolare dal 2011 ha abbracciato e porta avanti la causa di Amref, un’importante organizzazione africana senza scopo di lucro. ‘L’Africa è donna’, ripete Amref, perché le donne sono il motore dei villaggi e della sia pur carente economia africana, eppure vengono ancora discriminate. Spesso sono costrette a sposarsi anche da piccole e per le cattive condizioni socio-sanitarie in cui vivono muoiono di parto.
Grande plauso va alle musiciste che hanno lottato in paesi non democratici e in situazioni oggettivamente sfavorevoli, sfidando i governi e le loro leggi.
Secondo Fiorella Mannoia la musica di queste donne, il loro coraggio, hanno svolto un importante ruolo di sensibilizzazione che ha portato le società ad evolversi ed emanciparsi. Dobbiamo a loro la nostra libertà, perché chi lotta per la libertà lotta per tutti noi.
Questo libro è ad esse dedicato, a queste 30 donne, ma anche a noialtri per capire, studiando da dove veniamo, chi siamo.
A partire dagli anni ottanta, cantanti-simbolo hanno voluto poi con le loro trasgressioni , trasmettere pure loro modelli di libertà, in una società in cui anche nei paesi più civilizzati la donna risulta ancora svantaggiata e in secondo piano rispetto all’uomo.
Particolarmente incisive Lady Gaga per quanto riguarda le lotte per i diritti LGBTQ+ (acronimo usato in riferimento a chi è di sesso o orientamento sessuale diverso da quello etero) e Billie Eilish per quelle contro il bodyshaming (derisione di qualcuno per il suo aspetto fisico). Sappiamo quanto la modernità metta al centro l’immagine e la bellezza. Essere derisi per il proprio corpo, soprattutto se reiteratamente, può avere sulla psiche di una persona effetti devastanti.
Il capitolo scritto da Fiorella termina con un accorato appello a chi è giovane, cui dice:
‘Scegli la tua battaglia e cerca di fare la differenza, facendo fronte comune con i tuoi amici, incanalando il disagio che sentite in una protesta in cui credete fortemente, per il bene di tutti’.
E ancora:
‘Non so se un mondo diretto dalle donne sarà migliore di quello attuale, credo però che sia arrivato il momento di scoprirlo. Oggi il potere è degli uomini, mentre la società civile è sempre stata sulle spalle delle donne…’
Alle donne augura di trovare ‘un senso di sorellanza’, perché ancora troppo spesso accade che ad esprimere feroci giudizi sulle donne siano più spesso le stesse donne, più che gli uomini.
Tutte e 30 le storie del libro mi hanno affascinato, scelgo però di parlare di Edith Piaf (anche da me considerata un mito), facendo riferimento a quanto letto in questo libro e ad altre cose di cui ero già a conoscenza.
Edith Piaf era una parigina figlia di un contorsionista e di una cantante di strada che faceva uso di droghe. La bimba dunque visse con la nonna materna ammaestratrice di pulci (racconta in un memoir che i suoi biberon venivano riempiti di vino rosso…) sino all’età di circa 8 anni, quando il padre la prese con sé. La vita col padre era una vita da vagabondi ma a lei piaceva. Insieme erano sempre in giro. Quel ‘gomitolo’ di suo padre, un giorno che non si muoveva soldo, annunciò ai pochi scettici spettatori presenti che dopo la sua esibizione ci sarebbe stata quella della figlia; si sarebbe esibita in un triplo salto mortale. Edith rimpicciolì. Cosa gli saltava per la testa?
Però le persone si erano incuriosite e misero qualche moneta nel cappello che lei stringeva tra le mani.
Finito di esibirsi, suo padre annunciò che giacché la bimba si sentiva poco bene, il salto non lo avrebbe fatto. Chi aveva pagato allora cominciò a protestare e gridò di volere indietro i soldi, così suo padre spinse Edith al centro del cerchio di persone che si era formato e la piccola, disperata, non sapendo cosa fare, cominciò a cantare. La voce di Edith era talmente bella che le persone ne rimasero incantate e il cappello si riempì di monete. Così iniziò la carriera di una delle più grandi cantanti di tutti i tempi.
Piaf nell’argot parigino, cioè nel linguaggio tipico della malavita parigina, significa passerotto. Per la sua voce melodiosa la chiamarono così. Altro suo successivo soprannome: ugola insanguinata.
Partorì molto giovane la sua prima figlia che abbandonò alle deboli cure della nonna paterna. La bimba morì a soli due anni per meningite e questo fu il dolore con cui la Piaf dové confrontarsi per il resto della sua vita.
Altri dolori, tanti. Soprattutto la fine di ogni suo amore e la morte del ciclista Marcel Cerdan, l’amore più folle.
Era una donna molto passionale e non si vergognò mai di cambiare tanti uomini e di stare anche con uomini sposati.
Durante la prima guerra mondiale, fece molti viaggi nei campi di concentramento, e riuscì a salvare più di cento suoi connazionali imprigionati in Germania, costruendo per loro documenti falsi e facendoli passare per musicisti od operai del suo staff.
L’artrite reumatoide e vari incidenti d’auto la resero molto sofferente e fu costretta ad usare la morfina, ma nessuno di questi dolori fiaccò la sua grande energia. Il suo coraggio, la sua lealtà, generosità, il suo senso di giustizia l’accompagnarono sino alla morte, all’età di 48 anni.
norma d.