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’anarchico Giovanni Passannante, lucano, visse dieci anni rinchiuso nella torre della Linguella all’isola d’Elba, detta così perché quasi tutta circondata dal mare, raggiunto grazie a un’esile lingua di terra.
Lì visse (sopravvisse), in condizioni atroci.
La cella, sotto il livello del mare, era umidissima. Il soffitto alto meno di lui, che per questo non poteva stare in piedi, ma solo steso o curvo. Quando c’era l’alta marea, l’acqua gli sommergeva le gambe.
Era legato a una catena di 18 chili, e quasi al buio. Per la poca e cattiva alimentazione prese lo scorbuto. Gli caddero i capelli, perse tutti i peli del corpo e gran parte dei denti. Gli si rovesciarono le palpebre, così che le cinque guardie che a turno lo spiavano, non gli vedevano le pupille, ma solo il bianco degli occhi. Il suo intestino sviluppò metri e metri di tenie, e per la fame arrivò a nutrirsi delle sue stesse feci. Non gli fu mai concesso di ricevere visite, nemmeno ai secondini era permesso entrare da lui.
Quando , dopo sette anni di codesta prigionia, il deputato Bertani riuscì ad avere il permesso di spiarlo dalla serratura, rimase impietrito nel constatarne le penose condizioni; dunque chiese e ottenne che fosse visitato da alcuni medici. Era ormai ridotto a una larva e in parte insano di mente, ma trascorsero ancora tre anni sino a che in gran segretezza una notte lo trasferirono al Manicomio Criminale di Montelupo Fiorentino, dove riuscì ad avere l’opportunità di leggere e scrivere. Al deputato toscano Giovanni Rosadi che andò a visitarlo e cercò di capire se lo riconoscesse, lui disse:
“Tutti ci conosciamo perché tutti siamo fratelli, e le donne sono nostre sorelle, ma sono ingiustamente dimenticate; infatti si dice umanità e fratellanza, mentre si dovrebbe anche dire donneità e sorellanza.”
Di lui restano molti scritti, anche se per lo più in lingua dialettale e senza alcuna punteggiatura (andò a scuola solo il primo anno). Suoi principali obiettivi erano:
la repubblica universale, lavoro e assistenza per tutti, abolizione della pena di morte, bando alle guerre mondiali, disarmo.
Nel suo manoscritto intitolato ‘Ricordo per l’avvenire al popolo universale’, auspica un’assistenza giusta ed ugualitaria per le fasce deboli come anziani, malati, donne incinte. Un documento straordinario, se si considera che bisognerà aspettare un secolo prima di veder realizzata la legge sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri del 1950.
Durante la sua prigionia durata trentadue anni, Passannante non fu mai aggressivo ma sempre mite. Negli ultimi tempi gli fu dato da coltivare un orticello e lo fece con amore.
Dopo due anni di completa cecità, morì il 14 febbraio 1910. Aveva 61 anni, ma la sua storia non smise di essere atroce.
Al suo cadavere fu segata la testa, aperto il cranio, prelevato il cervello e messo in una teca sotto formalina. Cranio e cervello furono così esposti al Museo Criminologico di Roma.
Fu nel 2007, dopo più di 70 anni, che finalmente a queste sue spoglie fu data sepoltura, ciò grazie alla lotta di alcune persone. La prima interrogazione parlamentare a riguardo fu di Francesco Rutelli, ma del tutto risolutiva fu la lotta del regista ed attore Ulderico Pesce, che portò in scena lo spettacolo dal titolo: ‘L’innaffiatore del cervello di Passannante’ e dopo ogni spettacolo raccoglieva le firme per una petizione che chiedeva la sepoltura dell’anarchico. All’iniziativa aderirono persone del mondo della cultura e dello spettacolo come Dario Fo, Francesco Guccini, Erri De Luca, Peter Gomez, Marco Travaglio e tanti altri. Ulderico Pesce arrivò a mettere insieme più di 100000 firme e presentarle al ministro della Giustizia. Solo così finalmente lo Stato concesse la sepoltura, che avvenne a Savoia di Lucania, paese natìo di Passannante.
Allo spettacolo teatrale ‘L’innaffiatore del cervello di Passannante’ è anche ispirato un film dal titolo ‘Passannante’ ,diretto da Sergio Colabona.
Giovanni Passannate nacque a Salvia di Lucania, in provincia di Potenza, il 19 febbraio 1849, da genitori poverissimi. In tutto dieci figli, di cui 4 morti in tenera età. Da piccolo Giovanni si scottò alla mano destra, che restò deforme. Faceva lavori in casa, in campagna, portava le capre al pascolo. A 17 anni, così come avevano fatto i suoi fratelli, lasciò il paese. Un ex capitano degli eserciti napoleonici gli diede lavoro presso casa sua a Salerno e gli insegnò a leggere e scrivere. A 19 anni lesse Mazzini e diventò repubblicano. Dopo due anni si fece 3 mesi di carcere per aver diffuso e affisso manifesti che inneggiavano alla repubblica. Tornò a Salvia e fece testamento per rinunciare alla sua parte di eredità, ritenendo che in famiglia sulla questione ci fossero già abbastanza disaccordi. In varie occasioni lavorò da cuoco ed aprì anche una trattoria a Salerno.
Ciò che gli cambiò, o meglio distrusse, la vita, accadde il 17 novembre 1878 (aveva 29 anni), giorno in cui si procurò un coltello da un venditore di ferri vecchi scambiandolo con una sua giacca.
Il coltello non era granché, in quanto aveva una lama lunga appena quattro centimetri. Il suo scopo era uccidere il re Umberto I di Savoia, in visita a Napoli. Non ce l’aveva con lui persona, ma con lui in quanto re. Quel giorno pioveva ma poco, e comunque il popolo ne aspettava l’arrivo con entusiasmo. In onore suo e della regina Margherita, avevano allestito due cordoni di margherite fresche lungo via Carriera Grande, l’attuale via Toledo. Nella carrozza oltre il re e la regina c’era anche il ministro Cairoli, e come scorta alla carrozza 120 carabinieri piemontesi. Ma Passannante fu lesto. Saltò sul predellino della carrozza e agitando una piccola bandiera rossa e gridando “Morte al re, viva Orsini, viva la rivoluzione dei lavoratori, abbasso la miseria!”, sferrò al braccio del re un colpo col suo coltellino di quattro dita. Ne risultò una lieve ferita e un gran tafferuglio. Il popolo non capì nemmeno bene cos’era successo, tanto poco durò. Passannante ferì anche leggermente a una coscia Cairoli, che aveva reagito in difesa del re, e che a sua volta lo colpì alla testa con un fendente.
Come lesto era stato Passannante, così lesti furono i carabinieri, che lo imprigionarono nel carcere di San Francesco senza nemmeno medicargli la ferita. Qui cominciarono subito a torturarlo, nell’intento di sapere dei suoi complici, ma Passannante complici non ne aveva, quindi non poteva che negare, e più negava più lo torturavano. Tutto incatenato, gli infilavano aghi nella pelle e messolo seduto su una sedia bucata al centro, gli passavano sotto al culo e ai genitali il fuoco di una lampada a petrolio.
Visto che non parlava, anzi parlava solo per offendere la monarchia , il capitano a un certo punto gli disse:
“Bene! Ora incarceriamo al manicomio di Aversa quegli animali dei tuoi fratelli e quell’analfabeta di tua madre Maria Fiore!”
Allora si sentì Passannante urlare, nonostante la garrota che gli stringeva la gola:
“Noooo!”
Il processo fu fatto d’urgenza. Il tribunale alle otto del mattino sembrava un teatro, con tutti i posti a sedere occupati e le signore imbellettate a guardare col binocolo.
Il venditore di ferri testimoniò che il coltello con quella lama corta non era idoneo ad uccidere.
“E infatti io non vulevo accidere ma solo sfregiare!”, gridò Passannante.
Un certo Savarese di Salerno raccontò che la trattoria di Passannante a Salerno rimase aperta solo una settimana, perché Giovanni dava da mangiare gratis.
Il giorno seguente a Firenze fu lanciata una bomba contro un corteo monarchico. Rimasero uccise tre persone e ferite una decina. Un ordigno fu fatto esplodere anche a Pisa, ma qui non ci furono vittime. Per i loro elogi a Passannante, in tutta Italia furono arrestate molte persone. Il poeta Giovanni Pascoli gli dedicò un’ode, che distrusse dopo averla letta. Sopravvisse solo l’ultimo verso, che diceva:
“Colla berretta d’un cuoco, faremo una bandiera.”
Pascoli in seguito fu anche arrestato per aver espresso simpatia per gli anarchici e Passannante. Durante il processo, egli urlò:
“Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori!”.
Invece Giuseppe Garibaldi in un primo momento espresse la sua solidarietà a Cairoli e re Umberto I, affermando che un tentativo di omicidio è sempre deplorevole;
successivamente però in una lettera al giornale Capitale, riguardo all’attentato scrisse che ‘il malessere politico non è altro che una conseguenza dei pessimi governi e questi sono i creatori dell’assassinio e del regicidio’. Dopo due anni, in una lettera al repubblicano francese Félix Pyrat, Garibaldi definì Passannante un ‘precursore dell’avvenire’.
Il processo all’anarchico Giovanni Passannante, durò solo due giorni ed egli fu condannato a morte.
La notte lo si sentì molto piangere. Implorava:
“Acciditeme, acciditeme subbito!”
Questo voleva, infatti non chiese alcuna grazia, ma il re, preferendo infliggergli una morte lenta, mutò la condanna a morte in ergastolo e fu rinchiuso all’isola d’Elba, nella torre della Linguella, detta anche del Martello, oggi denominata torre di Passannante. Le torture a cui fu sottoposto erano talmente crudeli che i pescatori evitavano di passare di là per non sentire lo strazio delle sue grida. Oltre a lui furono imprigionati i suoi parenti e persino dei conoscenti, nella sola supposizione che avessero potuto aiutarlo.
Al suo paese, Salvia di Lucania, per l’attentato fu chiesto un risarcimento. Il suo nome fu cambiato in Savoia di Lucania. Ancora oggi si chiama così.
Norma d.