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Marcello D’Orta

Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 28-12-2020
Pagina culturale

 
C redo che meriti di essere ricordato Marcello D’Orta, maestro elementare, che fu per molti anni scrittore e solo per quindici maestro, ma preferiva essere chiamato così, perché lui sosteneva che se nella vita sei stato maestro, maestro rimani per sempre.
Nella scuola ed anche nella vita, fu un insegnante ante litteram che non temo definire ruspante, perché so che a lui non dispiacerebbe. Insegnò in vari quartieri popolari di Napoli, ma soprattutto più a lungo nel comune di Arzano, allevando i suoi alunni nella libertà di una didattica comprensiva delle loro radici, gergo dialettale, scrittura sgrammaticata.
Per realismo schiettezza ed empatia i temi dei suoi alunni lo affascinarono talmente che decise di sceglierne 60 e pubblicarli, nel 1990, in un libro, ‘Io speriamo che me la cavo’, che divenne un best seller.
In realtà per pubblicare questo libro aveva bussato alle porte di quasi tutti gli editori d’Italia, e tutti gliel’avevano rifiutato. Esausto, stava per buttarlo nella pattumiera, lo ha raccontato più volte, quando la moglie Laura lo convinse a proporlo alla Mondadori, che accettò. Ma perché non lo aveva proposto prima? Perché avendolo rifiutato i piccoli editori, nemmeno lontanamente immaginava che lo accettasse il più grande.
E dunque amava menzionare sempre, con giovani o aspiranti scrittori, questa sua esperienza, per incoraggiarli a non arrendersi, anche quando trovare un editore sembra impossibile.
Dal libro fu ricavato un film, dall’omonimo titolo, diretto da Lina Wertmuller, che entrò, esattamente come il libro, nelle case di tutti gli italiani. Un grande successo. Tra l’altro il protagonista del film è Paolo Villaggio, che si calò nel ruolo del maestro D’Orta con grande vigore, com’era nel suo stile.
Fu un successo sì, ma per D’Orta furono anche lacrime amare. Il suo libro che andava a ruba ovunque, proprio a Napoli si vendeva ‘appezzottato’, sotto forma di fotocopie. Inoltre i produttori del film gli comprarono i diritti con una cifra irrisoria, escludendolo dalla sceneggiatura. Lui ne soffrì molto, ma per timore che il film saltasse, accettò. Anche questa storia la conosco perché fu lui a raccontarmela, quando nel 2001 venne a Sarno per presentare il mio libro ‘Non si dice a me mi’, storia del mondo visto con gli occhi di un bambino, e di tre generazioni a confronto, attraverso i dialoghi del bambino con la mamma e la nonna. Il libro gli era piaciuto e volle darmi una mano a sponsorizzarlo.
Comunque con ‘Io speriamo che me la cavo’, Marcello D’Orta aveva messo a fuoco che non desiderava altro che fare lo scrittore, così lasciò l’insegnamento e si dedicò esclusivamente alla scrittura. Produsse ancora due libri per la Mondadori ‘Dio ci ha creato gratis’ e ‘Romeo e Giuletta si fidanzarono dal basso’, e poi ancora tantissimi altri per importanti case editrici, come Marsilio, Pironti, Piemme. Anche se i suoi libri sono tradotti in cinque lingue e venduti in tutto il mondo, non riuscì mai più però a replicare il successo del primo, con cui vendé 2 milioni di copie e che divenne anche una commedia con Maurizio Casagrande e musiche di Enzo Gragnaniello.
Da ragazzo aveva abitato nel centro storico di Napoli, in vicolo Limoncello, in una famiglia di dieci persone. Aveva sei fratelli. Da uomo visse invece in una casa nel quartiere Arenella. Morì a 60 anni, per un cancro contratto un anno e mezzo prima. Secondo quanto lui stesso affermò, un regalo della camorra.
‘Non ho mai fumato, non bevo, faccio un’alimentazione da certosino. Il mio cancro è dovuto alla munnezza, spesso bruciata e quasi mai raccolta, per via degli interessi della camorra.’
Durante la sua malattia, non smise mai di scrivere, anzi lo fece con accresciuta passione, ritendendo la scrittura una possibile forma di cura.
Quando morì, il 19 novembre 2013, al suo funerale, nella Basilica di San Francesco di Paola, in Piazza Plebiscito, la funzione religiosa fu officiata da padre Giacomo, suo unico figlio.
Il suo ultimo libro, edito da Piemme, si intitola ‘La Madonna fece un guaio con l’angelo’. Un libro scritto veramente in croce, secondo quanto afferma padre Giacomo: ‘A casa si è sempre letto il Vangelo. Papà era uomo di fede ed ogni pomeriggio alle 18 recitava il Rosario. Se aveva impegni, alle 20. Durante la sua malattia, invece, lo ascoltava recitato in tv. Durante i pasti, a casa nostra si parlava di letteratura e religione, una specie di ripasso di catechismo. Il suo ultimo libro, scritto con incredibile fatica perché era già molto malato, ha una prima parte fatta dai temi dei bambini, e una seconda in cui invece lui narra Gesù. Per poter parlare di Gesù, volle documentarsi bene e chiese il mio aiuto, ma il libro, sia ben chiaro, fu scritto tutto da lui anche se soffriva molto.’
Marcello D’Orta è stato uomo e scrittore straordinario. Con l’introduzione dell’aggettivo sgarrupato ha parlato con grande anticipo, in tempi assai lontani, dell’insicurezza nelle scuole.
Senza peli sulla lingua, ha più volte affermato di non avere molta stima della cultura napoletana con le sue baronie, per la quali lui non esisteva e né voleva esistere.
Venivano invitati e premiati sempre gli stessi: i Rea, Prisco, La Capria.
Chiudo con le sue parole su Napoli, rilasciate in un’intervista:
‘Napoli è un teatro a cielo aperto. Vi si recitano la tragedia, la commedia e la farsa. Nel dialetto napoletano non esiste il futuro, quasi a significare che si vive in un eterno presente; per questo per le strade si canta, si strilla e si fa rumore, un rumore assordante, a momenti insopportabile. Passato e presente copulano di continuo: si stendono i panni tra le braccia di due statue barocche, si fabbrica un forno da pizzeria coi mattoni di un muro romano. Non è cimiteriale, Napoli, è viva, è il sale di questo insipido pianeta, è una città anarchica che tuttavia ha organizzato il suo caos, è l’ultima possibilità che ha il genere umano di poter sopravvivere’.

Norma D'Alessio