Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 09-04-2021
Pagina Cultura e società
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‘ddio arguzie; addio, frizzi e lazzi; addio, gioiosi amici; io me ne vo’ morendo e desiderando di rivedervi presto contenti nell’altra vita’.
A 69 anni, il 22 aprile 1616, muore lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes, congedandosi dalla vita con un addio che ne descrive in poche parole l’esuberante personalità.
E al mondo lascia il suo capolavoro: Don Chisciotte de la Mancha, che a distanza di quattro secoli risulta ancora il romanzo in assoluto più venduto della storia (500 milioni di copie).
Impiegò vent’anni, Miguel, per scriverlo e lo pubblicò in due parti: la prima nel 1605 e la seconda nel 1615.
La sua vita fu segnata da avversità di tutti i tipi: economiche, familiari e matrimoniali, inoltre ferite di guerra (che gli costarono la perdita dell’uso della mano sinistra) e la prigionia ad Algeri. In relazione a tale prigionia, i biografi descrivono quattro suoi tentativi diversi di fuga. Pure, egli non perse mai la sua buona stella, non rinunciò mai a lottare per la dignità, e la sua munificenza di cuore e di intenti risulta pienamente trasposta nel suo Don Chisciotte, cavaliere dedito ad avventure e sventure con un palpito che esprime come forse nessun altro personaggio letterario, un vincolo concreto con Dio.
Dunque il romanzo, che mescola bizzarramente il genere spagnolo picaresco con quello epico-cavalleresco, è da considerarsi anche romanzo religioso.
Narra le tragicomiche gesta di un hidalgo spagnolo, cioè di un piccolo nobile, che a furia di immedesimarsi nelle figure dei romanzi cavallereschi, sceglie di diventare cavaliere errante e compie il suo ‘viaggio di magnanimità’ insieme al suo cavallo Ronzinante e allo scudiero Sancho Panza. Le imprese sono dedicate alla sua innamorata, cui giura eterna fedeltà, Dulcinea del Toboso, personaggio immaginario mai conosciuto, che nella realtà è una contadinotta.
La seconda parte, scritta dopo dieci anni, è per replicare alla diffusione di un seguito delle imprese di don Chisciotte pubblicato da un autore ignoto, celato dallo pseudonimo Alonso Fernandez de Avellaneda. La cosa infastidì non poco Cervantes, così che decise di scrivere questa parte successiva e in essa far morire il protagonista per scongiurare ogni ulteriore tentativo di plagio.
Gustave Flaubert: ‘Un libro così comico, e così poetico!
Continua fusione di illusione e realtà’.
Afredo Alvar Ecguerra: ’Cervantes genio nella comprensione umana e nella capacità di esprimerla’.
Secondo i critici, don Chisciotte impersonifica l’uomo nella sua grandezza e anche… nullità. Si tratta di un piccolo nobile che si fa nominare cavaliere errante dall’oste di una locanda e da lì inizia il suo viaggio…
Descrivendolo, Cervantes ce ne fa attraversare il sogno, pur non celando nulla del senso pratico spagnolo.
E’ in tutti i sensi, Cervantes, cercatore d’anima ed anche di linguaggio: vivo, parlato, e poi scritto.
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‘Visitare terre lontane e conversare con genti diverse, rende più saggio l’uomo’.
‘Sono don Chisciotte, e la mia professione è quella di cavaliere. Le mie leggi sono sciogliere i torti, elargire il bene ed evitare il male. Fuggo dal dono della vita, dall’ambizione e dall’ipocrisia, e cerco per la mia gloria il sentiero più angusto e difficile. E’ forse da sciocchi?’
‘Tutto ciò che è bello, si fa amare’.
‘Per la libertà, così come per l’onore, si può e si deve mettere a repentaglio la vita’.
‘I figli, signore, sono parte delle viscere stesse dei loro genitori’.
‘Inoltre, voglio che le signorie vostre sappiano che Sancho Panza è uno dei più divertenti scudieri che mai servì cavaliere errante. Alle volte ha delle ingenuità così argute che non è piccolo piacere il cercar di capire se è un semplicione o uno spirito sottile. Ha delle malizie che ci sarebbe da bollarlo per brigante e certe sbadataggini che davvero lo farebbero ritenere balordo. Dubita di tutto e crede in tutto. Mentre penso che sta per raggiungere il fondo della scempiaggine, ecco che vien fuori qualcosa di così assennato che lo innalza al cielo’.
‘Dove sono i giganti? disse Sancho Panza.
Quelli che vedi laggiù, rispose il padrone, con quelle braccia sì lunghe, che taluno d’essi le ha come di due leghe.
Guardi bene la signoria vostra, soggiunse Sancho, che quelli che colà si discoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini a vento, e quelle che le paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento fanno girare le macine del mulino.
Ben si conosce, disse don Chisciotte, che non sei pratico d’avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte, e mettiti in orazione, mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disugual tenzone’.
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Dalla corposa opera di Cervantes, molte frasi sono diventate aforismi famosi nel mondo, e persino nel parlar comune ve n’è traccia, ad esempio:
‘Sembri don Chisciotte contro i mulini a vento!’, volendo intendere sei dedito ad imprese impossibili.
Dunque don Chisciotte non vede mulini a vento, ma nemici: i giganti… Follia? O metafora della vita?
O è forse, la pazzia, un modo diverso per leggere il mondo?
Credo che contrapponendosi alla post modernità, con le sue icone di vacuità ed egoismo, il folle-saggio don Chisciotte ci regali il più bell’esempio di ricerca di speranza.
Difronte alla sventura, al fallimento, al dolore, ecco ad aiutarci, la costruzione positiva dell’esperienza.
Chiudo con le parole dello stesso Cervantes-don Chisciotte, prese in prestito dal suo ‘linguaggio della misericordia’: