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Mary Shelley

Uscito su Resistenze Quotidiane il 26-12-'24

 

‘ Lei, Mary Shelley,una ragazza inglese di soli 19 anni, è l’autrice di ‘Frankenstein o il moderno Prometeo’, horror che aprì la strada al romanzo di fantascienza.
In realtà Mary diede vita anche a un secondo genere letterario, quello apocalittico, con la stesura del successivo: ‘L’ultimo uomo’.
La sua complicata storia merita di essere raccontata.
Nacque a Londra nel 1797, da genitori entrambi intellettuali e avanguardisti. La madre Mary Wollstonecraft, scrittrice, filosofa, viaggiatrice e fondatrice del femminismo liberale, fu autrice di numerosi libri, tra cui il saggio ‘Rivendicazione dei diritti della donna’, 1792, che la rese celebre e acclamata nel mondo dei rivoluzionari. Fu giornalista a Parigi per seguire la rivoluzione e lì ebbe una figlia, Fanny, dalla relazione con l’americano Gilbert Imlay. Finito il sogno rivoluzionario tornò in Italia e per l’angoscia dovuta all’abbandono di Imlay, tentò il suicidio gettandosi nella Senna. Fu aiutata dall’unione con lo scrittore e saggista William Godwin, anarchico e pacifista, che adottò sua figlia Fanny e con il quale gestirono una libreria-editoria che però navigò sempre in cattive acque. Entrambi non credevano all’istituzione del matrimonio. Addirittura vivevano in due appartamenti adiacenti per avere ciascuno la sua libertà, ma si sposarono per zittire i pettegoli. Dalla loro unione nacque Mary, che sin da piccola visse tra i libri e fu solo grazie ai libri che riuscì a superare la depressione reattiva alle tante sciagure che le capitarono nella vita. Sua madre morì di febbre puerperale in seguito alla sua nascita. Questo lutto sconvolse Golwin, il quale desiderando ardentemente che la figlia ereditasse il grande intelletto della madre, interrogò a riguardo l’amico frenologo Nicolson, che misurò attentamente la testa di Mary e gli rispose con previsioni positive.
Quattro anni dopo, Gowin si risposò con una vicina di casa già madre di due figli: Claire e Charles. Da questo matrimonio nacque Williams e siccome con loro viveva Fanny, Mary si trovò a vivere senza madre ma con quattro fratellastri. Con la matrigna non andò mai d’accordo, ma col padre ebbe sempre vivaci rapporti intellettuali, nonché di affetto e intesa.
Lui era un uomo colto e sagace. Soleva dire che il matrimonio è un monopolio sentimentale legalizzato. Per allontanarla dalla matrigna, spedì Mary a più riprese in Scozia da suoi amici. Lì lei cominciò a provare le prime vertigini di fronte allo spettacolo della natura, verso il quale fu sempre particolarmente ricettiva. Tornata a Londra, soffrendo l’assenza di sua madre, si recava spesso al cimitero, portando con sé carta e matita per scrivere versi o annotare riflessioni. O anche un libro. Ossessionata dal pensiero di averne causato la morte, desiderava con tutta se stessa emularla, e ciò valeva anche per il padre, di cui conosceva il grande valore. Così studiò a fondo le loro opere e si pose nel loro solco. Volle tra l’altro prenderne tutti e due i cognomi.
Il cimitero fu anche luogo di appuntamenti con colui che divenne il suo grande amore, il baronetto Percy Shelley, di cinque anni più grande, poeta romantico e persona tanto generosa e sensibile che non sopportava l’altrui indigenza ed economicamente si adoperava sempre per aiutare chi più sfortunato. Egli frequentava casa loro avendo gran stima del padre, cui si rivolgeva come a un precettore. All’epoca era già sposato e padre di una figlia, ma quando conobbe Mary se ne invaghì. Lo stesso fu per la ragazza, che a soli 17 anni fuggì con lui a Parigi. Da lì viaggiarono spostandosi prima in Svizzera, poi in Germania. Le sostanze di Percy si estinsero presto e per i debiti rischiò la prigione. Rientrarono a Londra, soggetti agli osteggiamenti delle reciproche famiglie, ma Percy considerava ormai da tempo finito il suo matrimonio, anche se dalla moglie Harriet ebbe ancora un figlio. Nel frattempo ricevé da uno zio una cospicua eredità che ristabilì le loro finanze. La vita di Mary e Percy fu caratterizzata dall’amore per i libri e gli scambi intellettuali, i viaggi, l’arte, la natura, la rivoluzione, una certa libertà di costumi e purtroppo tante sciagure. Fanny, la sorellastra di Mary, si suicidò, ed anche la moglie di Percy, Harriet. Allora i due si sposarono, per ottenere l’affido dei due figli di lei, che però fu loro negato. Dopo il matrimonio, i rapporti tra Mary e il padre ritornarono buoni, ma Mary visse straziata dalle perdite dei suoi figli. Una gravidanza non arrivò a termine, un’altra portò alla nascita di un bimbo che poco dopo morì, e anche degli altri tre figli, due morirono. La figlia Clara e il figlio Williams morirono in Italia. Clara a Venezia per dissenterite, Williams a Roma per malaria. L’unico che sopravvisse e raggiunse l’età adulta fu Percy Florence, chiamato così perché nato a Firenze.
Indietreggiando nella storia, devo dire che pur avendo avuto Mary solo fratellastri, la sorellastra Claire fu per lei più che sorella , al punto che quando Mary e Percy fuggirono la portarono con loro. Lei passò gran parte della sua vita incollata a Mary. Claire ebbe anche una storia con Lord Byron (cui diede una figlia di nome Allegra, che lui riconobbe solo tempo dopo e che all’età di sei anni morì di tifo), una storia importante solo per lei, ma in virtù della quale lui invitò tutti e tre nella sua casa sul lago di Ginevra, dove viveva esiliato dopo lo scandalo per il presunto rapporto incestuoso con la sorella Ada. Lì trascorsero molti giorni senza poter uscire. Si era nel 1816, e per via dell’eruzione del vulcano Tambora delle Indie orientali olandesi, che aveva sparso la polvere delle sue ceneri sino in occidente, quell’anno ci fu quella che venne definita un’estate senza estate. Il loro umore non era dei migliori, anzi spesso era addirittura cupo. Insieme al dottor Polidori, medico personale di Byron ed anche lui scrittore, passavano il tempo fantasticando di fantasmi e stregonerie e fu così che una sera lord Byron lanciò a tutti una sfida: inventare una storia horror. Gli unici che non solo accettarono ma scrissero racconti finiti, furono Mary e il dottor Polidori, inventore del Vampiro. Mary non pensava di riuscirci, le sembrava quasi di non avere idee. Invece una notte sognò di qualcuno che tornava dall’al di là. Questo sogno diede l’abbrivio al suo romanzo gotico Frankeinstein, oggi famosissimo in tutto il mondo.
Narra di un appassionato di scienze e filosofia naturale, il dottor Victor Frankeinstein, che consapevole delle sue alte doti di scienziato e preda di forti ambizioni, dà vita a un essere umano assemblando pezzi di cadaveri raccolti nei cimiteri. La situazione però gli sfugge di mano, in quanto l’uomo da lui creato ha dimensioni gigantesche, essendo alto circa due metri e mezzo, e fattezze dismorfiche; appare quindi mostruoso. Lo stesso Frankeinstein ne rimane impressionato e quando si accorge che il mostro sta uscendo dal suo laboratorio, lo lascia andare senza fermarlo. Ancora non sa che la sua vita e quella dei suoi cari ne risulteranno distrutte. Il mostro, che è di buon intelletto ed anche buon cuore, sperimentando che nell’incontro con gli altri gli unici sentimenti che è in grado di suscitare sono terrore e repulsione, muta la sua natura buona in malvagia. Si rende colpevole di più omicidi. Il suo peggior odio è per l’uomo che gli ha dato la vita ma non si è poi preso cura di lui, non solo, ma si è anche rifiutato di creare per lui una compagna affinché non restasse solo. In questo romanzo Mary Shelley e la sua sensibilità visionaria tessono, in perfetto stile romantico, la trama di una storia horror che risulta intrigante sin dalla prima pagina. Vi sono descritti con meticolosità tutti i possibili stati d’animo degli uomini, i sentimenti di amore, amicizia, affetto filiale, lealtà, ma anche odio, disprezzo, ossessione, repulsione. La teoria sostenuta sembra essere come, a seconda delle circostanze della vita, gli uni possano tramutarsi negli altri.
Altro pregio dell’opera sta nell’ottima descrizione dei luoghi a partire dalla perizia geografica, dote rara per una donna di quell’epoca. Ma Mary, proprio come sua madre, era un’ottima viaggiatrice e si interessava molto di geografia.
Quando il romanzo fu pubblicato per la prima volta, nel 1818, con prefazione di Percy, lo fu in forma anonima. Due secoli fa non era consigliabile che una scrittrice si inoltrasse su questo terreno. Ma la storia incuriosì ed affascinò talmente tanto che alla fine si scoprì chi ne fosse l’autore, e la successiva edizione, del 1831, portò il nome di Mary Shelley.
Nella prefazione a questa seconda edizione Mary, che tra l’altro vi apportò delle modifiche, scrive:
“ Ho sempre avuto, e mio marito con me, gran desiderio di mostrarmi degna della mia famiglia e scrivere il mio nome nel libro della fama.”
Donna e scrittrice eccezionale, ma estremamente sfortunata, restò vedova a soli 25 anni. Suo marito era uscito per mare insieme a un amico. Entrambi non fecero più ritorno, inghiottiti insieme alla loro barca da una tempesta marina in località La Spezia. Tre settimane dopo, il mare restituì il corpo di Percy sulla spiaggia di Viareggio. A questo proposito si narrano cose che sanno di leggenda. Il suo amico scrittore Edward John Trelawhy ne trovò i resti e li bruciò in un falò, ma il cuore non volle bruciare. Così fu raccolto e consegnato a Mary, che lo conservò per quasi 30 anni, cioè sino al 1851, anno in cui anche lei morì, per un cancro al cervello. Il figlio lo trovò in un cassetto, insieme a un mucchietto di cenere, avvolto in un fazzoletto di seta su cui erano scritti gli ultimi versi del padre.
Le ceneri di Percy Shelley riposano, insieme alle spoglie del figlioletto Willams, nel cimitero acattolico di Roma.
Dopo la morte del marito, Mary volle lasciare l’Italia che non le aveva portato fortuna, visto che qui erano periti anche i figli Clara e Williams, e dopo otto anni dacché era venuta, fece ritorno in Inghilterra, dove non volle mai più sposarsi e visse del suo lavoro.
Pubblicò romanzi, saggi, poemetti e biografie, ma soprattutto si dedicò a catalogare le tante poesie del marito e pubblicarle, per farle conoscere al mondo.