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Edgar Lee Masters

Uscito su Mediavoxe Magazine l'11-04-2024

 



E dgar Lee Masters, statunitense del Kansas, fu uno scrittore molto prolifico, ma in vita ebbe poca fortuna. Finì addirittura i suoi giorni in miseria, aiutato solo da pochi amici. All’età di 40 anni aveva lasciato il suo studio legale per dedicarsi solo alla scrittura. Non gli bastava più annotare febbrilmente le sue folgorazioni poetiche sul margine del giornale, in tram, a pranzo, in tribunale. Aveva da poco pubblicato ‘Il nuovo Spoon River’, immaginando che potesse avere lo stesso successo della prima raccolta poetica, ispirata agli epigrammi greci dell’Antologia Palatina, alla Divina Commedia, alla Elegia scritta in un cimitero di campagna dal poeta inglese Thomas Gray, ma non fu così. A parte L’antologia dello Spoon River, per appunto la prima, che gli valse molti riconoscimenti già in vita, i suoi libri non penetrarono, ritenuti nostalgici di una vena ormai esaurita. E pensare che nel suo sogno di scrittore aveva sempre creduto, già da ragazzo, quando per comprare i libri che gli piacevano si adattava a fare lo strillone, il trasportatore di carbone, l’aiuto tipografo. La polmonite ne causò la morte a 81 anni in un convalescenziario della Pensylvania. Molti anni dopo, il suo talento fu riconosciuto in tutto il mondo e L’antologia dello Spoon River si ritiene oggi un’opera lirica tra le più lette in assoluto, tant’è che di lei si dice: chi sa leggere, l’ha letta. Anch’io l’ho letta, ed è rimasto il mio libro da comodino sin da ragazza, quando anch’io, come tanti giovani, lo scelsi come simbolo di protesta contro le ipocrisie e le convenzioni sociali, oltre che per la sua straripante poetica, naturalmente. Un libro che ho consumato e mi ha influenzato come scrittrice di ‘Primavera di fango’, dedicato all’alluvione che nel 1998 colpì il mio paese.

“Amare è trovare la propria anima attraverso l’anima dell’amato. Quando l’amato si ritrae, allora la tua anima è persa”. Ah!

Pure Fabrizio de André ne rimase affascinato, dopo aver letto la magistrale traduzione italiana di Fernanda Pivano, tanto che riportò alcune delle sue poesie (per l’esattezza nove), traendone una sua libera versione, nel suo famoso disco ‘Non al denaro non all’amore né al cielo’. Nove storie dove a parlare sono i morti, che non avendo più nulla da perdere, si concedono il lusso della sincerità.

In sostanza in questa antologia Lee Masters si serve di epitaffi per descrivere vizi e difetti degli americani. Ce n’è per tutti. Ispirato da ciò che accade nella sua cittadina Lewiston, lungo le rive del fiume Spoon, racconta quasi maniacalmente ogni difetto, ogni paranoia e soprattutto ogni tipo di fallimento dell’essere umano, il che gli vale a non essere amato né accettato dai suoi concittadini, che si ritrovano nudi nei suoi versi. Lui se ne infischia.

“Mi biasimi chi vuole, io son contento.”

Non usa metrica e definisce il suo stile una forma che è meno del verso e più della prosa.

“La terra emana una vibrazione là nel tuo cuore, e quello sei tu”.

Considero bellissimi i suoi versi d’amore.

L’epitaffio da me preferito? Tanti, e uno in particolare. Si intitola:

‘Benjamin Pantier’.

“Insieme in questa tomba giacciono Benjamin Pantier, avvocato, e Nig, il suo cane, compagno costante, conforto e amico.

Giù per la strada grigia, amici, bambini, uomini e donne, ad uno ad uno passati dalla vita, mi lasciarono finché non fui solo con Nig come socio, a dividere il mio letto e le mie bevute. Nel mattino della vita conobbi l’aspirazione e vidi la gloria. Poi lei, che mi sopravvive, intrappolò la mia anima con una trappola che mi dissanguò, fino a che io, un tempo forte di volontà, giacqui spezzato, indifferente, vivendo con Nig in una stanza sul retro di un ufficio buio. Sotto la mia mascella è accoccolato il naso ossuto di Nig –

La nostra storia è perduta nel silenzio.

Passaci accanto, folle mondo!”

Invece quello di cui spesso menziono un verso sospirando, quando capita qualcosa a me o a uno dei miei fratelli, è… “Io sedevo sotto il mio albero di cedro”.

Hanno definito la sua produzione un fiume di poesie, credo sia così. Scrisse persino il suo stesso epitaffio:

“Penso dormirò, non c’è cosa più dolce…”

E allora buon sonno, Edgar.

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