U
scito il 4 ottobre ed edito HarperCollins l’ultimo libro di Franco Arminio. Un libro che viene dalla sua giovinezza, che si accendeva per la passione per tutti gli sport, anche se praticava solo il calcio.
Giocava tutti i pomeriggi fino allo sfinimento. Se era da solo s’inventava le porte. Tutta una corsa sino a far rete nell’uscio di zia Caterina. Oppure nella porta della cucina in osteria, dove la palla terminava dopo aver dribblato i tavoli e le sedie, il cameriere che immaginava nel ruolo di avversario.
Era capace di andare avanti per ore e gli veniva pure bene, per questo guadagnò il titolo di Maestro, che durò una quindicina di anni, quando svanì dimenticato. Gli piaceva anche giocare a biliardo.
E poi c’erano gli incontri comunitari in osteria, dove in quegli anni dopo il lavoro suo padre Luigi e i suoi amici si riunivano per eccitarsi davanti alla tv, tifare insultando gli avversari, litigare tra loro, e a volte far volare anche qualche sedia.
Seguivano gli sport all’epoca più popolari: calcio ciclismo e boxe.
‘Il pugilato spesso lo facevano.
a tarda sera...
Era un poco cinema,
un poco sport,
era mio padre che combatteva
sulla sua sedia’
Prima dell’avventura avellinese, Arminio tifava per il Cagliari. Poi venne l’Avellino e cominciò ad andare alle partite con suo padre. Di quelle uscite ricorda più le sofferenze per le sconfitte che le gioie per le vittorie, ma di quando si andò in serie B, afferma
‘Non credo di aver mai partecipato
a una felicità maggiore,
a quel tempo non ero ancora ostaggio del mio cuore’.
Ci fu poi la prima volta in serie A e fece il lungo viaggio per andare a Milano allo stadio Meazza..
‘L’Avellino prima che una squadra.
era la nostra occasione per essere.
presenti sulla giostra della fama.
Non sapevamo che due anni dopo.
sarebbe arrivato il terremoto,.
una storia, un gioco
che ancora adesso ci diffama’
Per la boxe aveva un interesse particolare.
Ancora ricorda, e ce la racconta, la morte del pugile Jacopucci dopo tre giorni di coma, vittima di un ko da parte di Alan Minter.
‘La notizia mi arrivò
come una fucilata.
Da allora ogni volta.
che prendo una botta in testa
mi dichiaro in prognosi riservata.’
A quei tempi sognava di fare il cronista sportivo, e più si inceppava nella parola perché nella sua giovinezza gli accadeva, più si immaginava in quel ruolo che richiede una lingua sciolta. Facendo il cronista, avrebbe inoltre potuto viaggiare e conoscere il mondo.
Amava lo sport perché impasto di sfide e umiliazioni, fatica, sudore, sconfitte, rivincite, talvolta gloria.
La prima versione di Atleti uscì all’inizio degli anni Novanta promossa dall’Associazione dei librai avellinesi ed alcune sue poesie furono pubblicate su riviste come Nuovi Argomenti.
Arminio in questi 30 anni ha sempre coltivato il desiderio di ripubblicare questo libro, dopo averlo riveduto e aggiornato.
Non segue più gli sport come allora, ma ne resta ugualmente affascinato.
La simmetria e armonia dei movimenti, la forza e velocità degli scatti, l’ebbrezza della competizione e della vittoria.
E ancora la preparazione che dura anni, il dolore della delusione, le ferite, l’invecchiare troppo presto, perché l’orologio per gli atleti batte un tempo breve, gli fanno ritenere che quella dello sport sia una grande metafora della vita, coi suoi allineamenti e disallineamenti dietro i quali il cuore si affanna.
La prigionia di certi ruoli, se pure alati, come quello del portiere, la pericolosità di altri come quello dell’automobilista, tutte le sofferenze e le emozioni dello sport, Arminio prima li filtra con la sua sensibilità e poi li trasferisce nella sua vigorosa poesia.
In fondo anche la poesia come lo sport ha le sue linee geometriche.
Una raccolta di versi molto significativa dunque perché il poeta riesce a descrivere ogni movimento dell’atleta ed ogni sua triste o esaltante emozione adeguando le parole e il loro peso.
Così ali di farfalle o zampate di elefante, traiettorie nette o rovinosi zig zag. E lo sguardo dell’atleta luminoso, estasiato oppure frustrato, il suo capo chino o dritto, le sue membra tese nella gara o abbandonate nella sconfitta.
Nell’atletica leggera il cuore delle lepri, che può essere tirato dallo sforzo sino a scoppiare.
‘Io faccio la lepre, il suicida.
della corsa che dopo uno o due giri.
scoppia’.
Ogni vibrazione fisica ed emotiva dell’atleta, Arminio ce la restituisce in poesia..