Uscito sul Quotidiano del Sud - Edizione di Salerno il 04-12-2020
Pagina "Cultura e spettacoli"
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a settantacinque anni, ed è una leggenda che vive. Proveniente da una famiglia di musicisti, sia dal lato paterno che materno, cominciò a suonare il piano all’età di tre anni. A nove fece il suo primo concerto, a quindici divenne compositore.
La sua carriera è legata a un altro grande jazzista: Miles Davis, con cui hanno avuto una lunga amicizia e una forte attrazione musicale, che li portò a incidere e lavorare insieme.
Tra gli strumenti suonati da Jarret, il sassofono, il clavicembalo, il clavicordo, vari tipi di percussioni, ma soprattutto il piano acustico. Del tutto unica la sua tecnica d’improvvisazione, con cui spazia dal jazz alla musica classica, al gospel, al blues, alla musica etnica.
Nonostante i successi, però, non è stata facile la vita di Keith, soprattutto per quanto riguarda la salute.
Non si direbbe, vista la grande energia dei suoi brani e performance, che magicamente trasportano il pubblico dei suoi fans da qualche altra parte, ma lui ha sofferto a lungo, soprattutto verso la fine degli anni novanta, di sindrome della fatica cronica, una malattia che lascia completamente svuotati di energia, motivo per cui più di una volta ha dovuto relegarsi in casa per mesi.
Parliamo dell’Union, nel New Jersey.
Eppure anche in quei mesi di reclusione, produce musica, e registra The Melody at night, with You, inizialmente ideato come regalo per la moglie.
In questo album accade qualcosa di diverso, mai successo prima: Keith suona pezzi standard e vecchie canzoni, senza improvvisare. Risultato? Strepitoso, come sempre.
Nel 2004 vince il premio musicale Léonie Sonning, nella prima edizione aggiudicato a Igor Stravinskij e come musicista jazz solo a Miles Davis.
Famoso anche per il suo singolare comportamento sul palco durante i concerti, che gli è valso nel tempo molte critiche da parte dei mass media e degli stessi fans: è insofferente al pubblico rumoroso, ed anche agli applausi, soprattutto se avvengono durante l’esibizione e non dopo.
Il click di un fotografo o un semplice colpo di tosse lo mandano in tilt. Ha più volte dichiarato di non sopportare il fumo e il vocìo. E’ arrivato ad abbandonare il palco per protesta o suonare di spalle al pubblico, in un buio completo. Ha poi spiegato che non nutre antipatie per gli spettatori ma semplicemente non riesce a concentrarsi anche per rumori minimi e soprattutto non vuole perdere la melodia che gli suona in testa.
Ricordiamo che lui suona improvvisando.
E poi bisogna riconoscere che ha molto lottato per la sacralità della musica, troppo spesso invece vittima di eccessiva spettacolarizzazione.
A Umbria Jazz è stato ospite per ben sette volte, con interventi pagati a peso d’oro, ma dopo la sua ultima esibizione, nel 2007, gli organizzatori decisero di non invitarlo mai più. Andò così: lui aveva più volte ribadito di non ammettere l’uso di flash, invece alla chiusura del concerto i flash, non molti in verità, arrivarono. Ebbene, Keith e i suoi musicisti rifiutarono il bis ed andarono via incuranti dei fischi di protesta.
In alcune registrazioni dei suoi brani si possono sentire i suoi piedi che battono il tempo o la sua voce che esprime suoni di godimento, com’è nello stile del jazz e com’è usanza introdotta dal pianista Oscar Peterson.
In passato ci sono state polemiche anche per il suo arrampicarsi sul piano, ritenuto poco ortodosso per un musicista della sua levatura. Lui ha spiegato di avere col piano un rapporto fisico e poi di trattarsi di movimenti del tutto involontari, nati sotto la spinta dell’energia musicale, peraltro molto stancanti e dolorosi per le spalle.
Quanti spettatori ha fatto impazzire, quando prima di iniziare lo vedevano lì seduto di fronte al piano, fermo per un tempo che sembrava infinito. Non ha nessuna idea di ciò che suonerà. Si concentra, ma non deve volare una mosca. Non ci sono spartiti, nessun programma, nessuna intenzione. Jarrett compone all’istante, e quando questo momento mistico accade, lui comincia a torcersi, ondeggiare, ansimare. Secondo taluni, fa l’amore col pianoforte. Gli organizzatori tremano, prima durante e dopo. Una volta a New York Jarrett così apostrofò il pubblico ‘ Vi comunico che non state assistendo a un concerto, ma a un evento.’
Un’altra volta, a Palermo, chiuse il coperchio del pianoforte e se ne andò.
Cosa daremmo ora per vederlo ancora esibirsi in maniera così unica e geniale, nonostante il carattere scontroso.
Il suo ‘Concerto di Colonia’ del 1975, da solista, risultò l’album più venduto della storia e fu ritenuto un trionfo anche contro le avversità fisiche…
All’epoca Keith aveva solo 29 anni, ma era già famosissimo. Arrivò a Colonia in una gelida e piovosa giornata ‘storta’, provenendo da Zurigo. Sembrava uno di quei giorni nati per mandare tutto all’aria. Lui era stanco, non dormiva da due notti e aveva un atroce mal di schiena. Per giunta arrivato al teatro (1400 posti, tutto esaurito), non trovò il pianoforte Bosendorfer che aveva chiesto, ma un piccolo insignificante scordato pianoforte coi pedali guasti.
Keith se ne andò brontolando, ma fu rincorso per strada dalla giovane organizzatrice, Vera Brande, che lo implorò di non distruggere il suo sogno. Non si sa come, la ragazza lo convinse, e lui fece il concerto più straordinario della sua vita. Il suo manager registrò l’esibizione, e da lì nacque il leggendario album Concerto di Colonia.
Tornando all’epilogo della storia: purtroppo, contrariamente ad ogni previsione, la sua apparizione a Cornegie Hall di New York del 2017 è stata l’ultima della sua carriera. L’ennesima esibizione da estasi, dopo la quale Keith ha pianto. Successivamente, vengono disdetti tutti i suoi concerti per motivi di salute, ma non si sa questi motivi quali siano.
Solo a ottobre di quest’anno Keith ha dichiarato, in una recente intervista al New York Times, di non poter più suonare. Nel 2018 ha subito due ictus, uno a febbraio ed uno a maggio, che gli hanno paralizzato il lato sinistro del corpo. E’ stato ricoverato per quasi due anni per una lunghissima riabilitazione, che gli ha restituito l’uso parziale della gamba ed oggi cammina col bastone, ma non ha ripreso l’uso della mano.
‘Non illudetevi - dice. - Qualche volta suono ancora, ma nei miei sogni. Ho provato a farlo solo con la mano destra, fingendo di essere Bach, ma non ci sono riuscito.
Al massimo, con la sola mano destra posso reggere una tazza.’
Ironico amaro realismo di un uomo da leggenda.